Capitolo 2. Le ghiandaie marine techno, nella valle dei sussulti
Maggio 2016. Basta lasciare la
provinciale, superare un ponticello di tufo, percorrere forse trecento metri e
ti ritrovi in una valle che hai sempre sognato. E’ un pascolo di quattrocento
ettari, al margine uno dei boschi meno maltrattati del Lazio. Pensi così che
vorresti che se i tuoi minerali potranno fertilizzare questo terreno sodo ne
saresti felice. Saverio ha le pecore e le pascola lì, ora sono nel fondovalle e
i campanacci fanno l’eco sulle sponde dense delle roverelle. Saverio è felice
di fare due parole con me e Daniele, che stiamo lì per cercare occhioni, in un
sito che conoscevo da tanti anni, ma che aveva visto vicissitudini agronomiche
mirabolanti. Prima mais, poi pomodori, poi il bosco stava per riconquistare le
garighe e gli spazi aperti, infine al ritorno a ciò che era la sua vocazione
divina: un pascolo con sassi grandi come una pagnotta di pane e un tappeto di asfodeli.
Gli occhioni cantano, Saverio racconta che il pastore che lo aiutava prima, un
macedone, aveva lasciato il lavoro, perché ogni volta che portava le bestie al
pascolamento ai margini del bosco, scendevano i lupi e ne aveva terrore.
Qualche volta i racconti dei pastori sono pieni si suggestioni, ma in questo
caso non ho faticato a credergli. Tonnellate belanti di calorie in uno stazzo
ai margini del bosco, in un’area dove ogni anno sparano una decina di lupi. Lui
no, non gli sparerebbe mai, ci dice che noi che ci occupiamo di natura dovremmo
tenere questo in considerazione, che il suo lavoro sia tenuto nelle nostre
menti, che quelle sveglie alle tre del mattino per mungere e poi scendere al
fiume non siano banalizzate in un ridicolo “al lupo, al lupo”, il problema
esiste e Saverio lo racconta in modo pragmatico. Bisogna ascoltarlo in qualche
modo ci diciamo. Cuore alla gola per un paesaggio così antico e struggente,
discendiamo. Il GPS aveva segnato la posizione degli occhioni, il taccuino
annotava: biancone, succiacapre, calandra, allodola, strillozzo e
sterpazzolina, quando da un palo della corrente elettrica esce con sublime
grazia disturbata una ghiandaia marina, il partner stava su una roverella
seccata da un incendio. Raccontare è difficile, bisogna vederlo quell’inarcarsi
del corpo che si invola con la testa tenuta in su, quella tavolozza in
movimento tra i rigogoli che punteggiano l’aria di canti. Ora queste tipologie
di nido non sono più una novità, anzi: I casi di nidificazione nei pali e nei
trasformatori sono in continuo aumento; nel 2015 più del 50% della popolazione
nidificante in Italia, utilizza appunto queste strutture. Al modificarsi del
paesaggio rurale ed agrario, al disturbo antropico, al riutilizzo dei vecchi
casali per uso abitativo rispondono con una strategia techno. Iridescenti e dal
piumaggio bellissimo le osserviamo catapultarsi nei pali della corrente,
qualche volta trattenendo il fiato, perché soprattutto quando il nido è posto
nella scatola di scambio della corrente, possono avvenire fenomeni di
folgorazione. Per fortuna sono casi rari e le ghiandaie marina continuano, anzi
incrementano la loro popolazione a base di KW/h. Certo, la ghiandaia marina
rimane una specie selettiva e per insediarsi nei pali, questi devono essere
posizionati in aree ad alta biodiversità. E la valle dei sussulti lo è,
immensamente, immensamente distaccata dal vuoto monocolturale e monoculturale.
La valle dei sussulti è l’assoluto.
Capitolo 5. Della sofferta scelta
E’ il 26 giugno 2012. I papaveri escono dal grano, disegnano una
linea lunghissima di sangue nella monocromia del giallo cadendo in un fosso.
Per ogni cane alla catena ce ne è uno libero, per ogni uomo ferito c’è un altro
che combatte. C’è una fila di pioppi neri centenari, il rigogolo canta e ti
senti piccolo, un’averla cenerina fa la spola tra le stoppie foraggere e il
nido sui pioppi, posto molto in alto ma ben visibile da sotto mentre vado a
bere a un fontanile diruto. Poco più avanti “Lei”, sta sulle barre di quella
capriata meccanica che sostiene i fienili maremmani. Ci sono solo una decina di
balle parallelepipede e, quella che era stata la sua casa lo scorso anno ora è
troppo esposta alla vista dei predatori qualora decidesse di nidificare in
quella struttura ora semivuota e spettrale. Ero stato nello stesso luogo venti
giorni prima e la scena di oggi è la stessa. Lei disorientata e fedele ad un
sito storico, fedele a quella collina dolcissima dove la notte gli occhioni si
rivelano gli indolenti guerrieri che sono. Per le specie che hanno la disponibilità
del sito riproduttivo come fattore limitante della popolazione, e la ghiandaia
marina è fra queste, la scelta vitale diventa spostarsi o attendere. Attendere
che la sua casa si orni di nuovo delle cataste traboccanti fieno, tra i cui
interstizi deporrà le uova, alleverà la prole, trasmetterà il suo dna celeste.
Lei ha scelto di resistere, di attendere che l’uomo la salvi, che i ritmi della
natura le diano una sola possibilità. Come fai a non pensare che anche tu tante
volte hai atteso, con una pipa accesa e il cuore in disordine? Mi vede e
scappa, mi sono avvicinato troppo. Mi dispiace aver disturbato un’assenza. La
scelta di aspettare che le condizioni del substrato del nido diventino
favorevoli è una opzione rischiosa. Se la deposizione avviene dopo il 15 luglio
le possibilità di involo dei giovani sono poche. Perché entro agosto, quando la
marea di carne umana si concentra ancora sulla linea costiera per provocarsi
piccole e fastidiose ustioni, le ghiandaie marine devono cominciare a
spostarsi. Preparare la migrazione in aree di alimentazione comuni, disegnando
arabeschi turchesi inseguendo prede verticali. E’ nella loro natura, è nel
codice genetico ed in parte nel bilanciamento degli ormoni che è scritta la
loro complicatissima tabella migratoria. Non è di certo una colpa che qualche
pulcino venga abbandonato a se stesso.
I prati due giorni dopo sono
sfalciati, il fieno è ranghinato e ci sono almeno una quarantina di balle
pronte per essere caricate sul piano del trattore e depositate da una piccola
gru al fienile. Le ghiandaie marine seguono le operazioni dai pali di cemento
di una vigna. I canapini fanno chiasso che gli occhiocotti in canto sembrano triglie,
i pulcini dei saltimpali hanno ancora la lanuggine sul dorso e sono imbeccati
sopra dei laterizi osceni, perché noi umani dobbiamo farci sempre
disgustosamente riconoscere. Ai pulcini saltimpali non importa nulla; proteine
fresche per ingrassare e per compiere la prima muta.
il 22 agosto torno sperando nella
“sofferta scelta”. Sentendola umana, sentendo mio quel dolce pigolare che
arriva dal fienile, sentendo di appartenere a quel mondo delizioso. Si ce
l’hanno fatta e un pulcino estrae il suo beccaccio da pappagallo. Ora vengono
riforniti di prede, lui e i suoi fratelli, con un ritmo frenetico. Un’imbeccata
ogni cinque minuti ed entrambi i partner fanno la spola tra i cardi del pascolo
della collina e casa. Ortotteri e cicale soprattutto. Il cielo porta via le
nuvole; sono le otto di mattina, c’è una briciola di mistral. Un pulcino scende
dalla sicurezza scura di quel cordone ombelicale del cunicolo nido e vola fin
sopra un erpice rugginoso. Ce l’hanno fatta!
Quando diventa caldo li lascio, ho sempre amato chi crede ai sogni e chi
li vede come l’opportunità più reale possibile, che possa quindi semplicemente
inverarsi perché ostinatamente ci si crede. Non riesco a pensare ad altro che
alla felicità che mi entra dalla bocca e arriva al cuore e dal cuore alla
periferia fino alle mani, in un solo battito. “Della sofferta scelta”.
Capitolo 6. La colonia e i conflitti
La ghiandaia marina è definita
una specie semicoloniale. In passato i casi di nidificazione raggruppata erano
certo più frequenti. Il grande ornitologo Edgardo Moltoni, che si può senza
dubbio definire come il ponte fra l’ornitologia storica e quella moderna
racconta che nella cinta muraria di Tuscania c’era una grande colonia di
ghiandaie marine. Ora ci sono le taccole, una coppia per ogni fenditura del
tufo. Il modificarsi delle condizioni ambientali, della conduzione delle
campagne, la sottrazione degli incolti favorisce le specie generaliste, le
ghiandaie marine ovviamente pagano un prezzo.
Quando sei alla cava dei miracoli
celesti inizi a comprendere qualcosa. Generalmente, in termini concettuali
distinguiamo gli uccelli tra specie coloniali e specie territoriali. Le
gioviali e le solitarie insomma. Esistono tutta una serie di vantaggi e limiti
per ciascuna delle attitudini eco-etologiche. Il colonialismo consente alle
coppie nidificanti di spendere minor tempo nella difesa comune dell’area nido,
oppure può costituire un centro d’informazione per scambiarsi dritte sulle aree
trofiche, oppure si può verificare la difesa comune nei confronti di un
predatore. Il territorialismo presenta
vantaggi, per così dire opposti: le coppie corrono in misura minore il rischio
di essere scoperte da un predatore, non devono dividere aree di foraggiamento,
c’è minor rischio per i maschi di veder trasmesso non il suo DNA, ma quello di
un altro maschio villano e traditore. Le due opzioni anche nella stessa specie
sono plasmate dalle condizioni ambientali ed ecologiche. Un’area che racchiude
grandi spazi con risorse disperse e la disponibilità di molte cavità nido
ravvicinate, favorisce appunto la nidificazione coloniale. Situazioni più
puntiformi e con aree di foraggiamento di dimensioni più modeste o con risorse
concentrate, facilita la nidificazione solitaria. Definire una specie
territoriale in fondo è semplice: una specie territoriale decide di spendere
preziose energie per difendere in modo attivo una risorsa, lo può fare
attraverso segnali acustici, ma alle brutte anche con interazioni fisiche, vere
e proprie aggressioni nei confronti dei competitor. La risorsa difesa può
essere e più spesso si fa coincidere con l’area nido, ma possono essere difese
anche aree alimentari o posatoi. Siamo sempre all’interno del concetto del
territorialismo. Definire una colonia invece è estremamente complesso e saremmo
tentati di identificarla come un luogo in cui le specie nidificano raggruppate.
A quale distanza i nidi devono essere collocati per essere queste are definita
una colonia? Iniziano i problemi. Se vogliamo prendere in considerazione questo
parametro solo spaziale ovviamente la definizione di questo spazio tra i nidi è
specie-specifico. Continuano i problemi. Per progetti speditivi si possono
scegliere con buona approssimazione delle distanze fra i nidi per parlare di
colonie, ma concettualmente stiamo un po’ sul vago, se non inseriamo parametri
etologici. La difesa comune nei confronti di un predatore, come accennato
sopra, ecco è già un buon indicatore del fenomeno. Colonia come cooperazione
allora. Forse si.
Solo che poi entri in quel
vortice di colori e mentre un biacco scivola tra le erbe viperine, ti accorgi
che quei concetti che opponevano territorialità e colonialismo sfumano sul
parapetto dei gladioli. Due coppie di ghiandaie marine stanno a non più di
dieci metri e in mezzo c’è una coppia di storni. I maschi di queste due coppie
si attaccano furiosamente, uno dei due poggiato sulla sabbia spalanca le ali in
segno di sfida e rifila due beccate potenti in testa dello sventurato
disattento, poi risale dalla sua femmina e si salutano, un'altra ghiandaia
marina nel fondo della scarpata mobba un gheppio ferocemente, si innalza e
picchia giù sparato, il gheppio prova a mostrargli gli artigli rovesciandosi in
volo nel modo che hanno le albanelle minori nel momento dell’amore, ma la
ghiandaia marina è intrepida contrattacca. Il sole dietro le spalle, il pastore
Ciriaco scende con le pecore al suo stazzo notturno, ha preso una cannuccia con
tutte le foglie per redarguire le pecore. Me ne sto per andare, prima bevo un
mezzolitro d’acqua. Risalendo è chiaro che due fenomeni che spesso si ritengono
contrapposti, in realtà cooperano. In una colonia ci sono cooperazione e
conflitto. La colonialità non esclude fenomeni di territorialismo, è una
questione di scala e se guardi da vicino la colonia delle ghiandaie marine,
esiste sempre un’area difesa, una risorsa difesa, un territorio quindi in cui vale
la pena ritualizzare la battaglia, oppure darsele di santa ragione.
Capitolo 7. Le Maremme
La Maremma viterbese è un sottoinsieme
della Maremma, quello spazio che il divino Poeta circoscrive nel canto XII
dell’Inferno “da Cecina a Corneto i luoghi colti”. Una parte di un tutto
insomma, ma che giocando in forma geo-semantica, gioco a suddividere in:
maremmina (la Maremma del cane), quella parte in cui agli incolti si mescolano
ampie porzioni di agroecosistemi a bassa intensità energetica. Segue la Maremma
del nord, che orientativamente va da Tuscania ai confini con la Toscana, questa
è la (Maremma della pecora) cui segue sempre attraverso un labile confine,
psicogeografico la Maremma del centro, orientativamente da Monte Romano a
Tarquinia ed è ovvio che questa sia la (Maremma della vacca maremmana). La Maremma
del sud extradantesca è la Maremma tolfetana, ossia (la Maremma del somaro). La
Maremma della pecora è piatta con rilievi rotondi e dolci, terreno crettato dal
sole, da cui emergono fossili marini, la Maremma della Vacca maremmana si perde
tra pascoli e lunghi fossi bordati dal frassino ossifillo e dall’acero minore.
Se la percorri di notte o nel preciso momento in cui il cane diventa lupo in
quell’imbrunire scuro, puoi averne paura e fuggirla. La Maremma del somaro
invece è più incisa da valloni di boschi termofili, intervallati dai cardi e
dalla gariga. Qui il bosco avanza e si ritrae in funzione dei carichi di
pascolamento di anno in anno, una Maremma forte e vezzosa, un po’ oleografica.
Civitella Cesi, le forre sul
Mignone all’altezza di Luni. Venti giugno 1999. E’ area di transizione tra la Maremma
della pecora e la Maremma della vacca. Ci sono due coppie di ghiandaia marina
al ponte della ferrovia, le contattiamo e torniamo sopra il vallone a
controllare tra i bastioni di tufo. Anche se l’ambiente di nidificazione
primigenio dell’uccello dalle ali indaco, si suppone fosse in prevalenza costituito
da questi strapiombi vulcanici, ora trovarne in ambiente davvero “wild” è
divenuta un’impresa. Con Fulvio, a forza di guardare la spalla opposta del
vallone non ci accorgiamo che dieci metri sotto di noi c’è un nido attivo. Ci
spostiamo su una cengia a monte infrascati fra i cisti bianchi e rosa e il nido
è ben visibile. Due Baush e Lomb sessanta ingrandimenti consentono una visuale
perfetta in HD. Entra un partner con l’imbeccata e subito esce l’altro che
copriva i pulcini, ora li vediamo appiccicati
su un leccio tarlato dell’altra sponda. Entra un terzo individuo al nido! Ci
guardiamo come allocchi. Il fenomeno dell’helping non è noto per le ghiandaie
marine, il terzo individuo non porta nessuna preda e resta due minuti al nido.
Poi un acquazzone estivo ci inzuppa come baccalà, la macchina è ad almeno tre
km, dobbiamo andare via. Una settimana dopo torniamo e non c’è più nulla. Un
biancone volteggia alto, le tortore selvatiche “rucano” di presso e i colombacci
a fare da bordone alla sinfonia columbiforme. Speriamo almeno che la truppa dei
giovani si sia involata. Resterà sempre non chiarito se si trattasse di un
helper. Sono convinto di sì, ma mancano troppe evidenze. L’helping è un
fenomeno naturale per cui alla coppia nidificante si aggiunge un terzo
individuo che mette in campo un comportamento altruistico: collabora al buon
esito della riproduzione, senza apparentemente ricevere nessun beneficio. In
realtà numerosi studi hanno analizzato i motivi dell’helping che in modo
finalistico deve avere necessariamente anche per l’aiutante dei buoni punto per
la sua fitness individuale. I principali individuati sono: la possibilità di
essere accettati in una colonia e condividere i privilegi di una vita comune,
l’altro è quello di essere parte anche di un ambiente sociale, che consente
all’helper di stringere relazioni di “conoscenza” con individui dell’altro
sesso ricavando così altri buoni punto nella scelta del partner negli anni
successivi. Negli affini gruccioni è un fatto ben conosciuto e questi aiutanti sono
appellati col termine di “zie” perché possono essere uno o più di uno. Non sempre sul campo riusciamo in modo
istantaneo a decrittare fenomeni complessi, ma prima non sarei potuto tornare e
in fondo restare con delle domande, è quello che ci fa amare in modo viscerale
il mondo naturale. La società delle ghiandaie marine utilizzerà gli “zii”
anch’essa?
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