lunedì 20 febbraio 2017

la ghiandaia marina. Il riverbero turchese della savana mediterranea

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Capitolo 2. Le ghiandaie marine techno, nella valle dei sussulti

Maggio 2016. Basta lasciare la provinciale, superare un ponticello di tufo, percorrere forse trecento metri e ti ritrovi in una valle che hai sempre sognato. E’ un pascolo di quattrocento ettari, al margine uno dei boschi meno maltrattati del Lazio. Pensi così che vorresti che se i tuoi minerali potranno fertilizzare questo terreno sodo ne saresti felice. Saverio ha le pecore e le pascola lì, ora sono nel fondovalle e i campanacci fanno l’eco sulle sponde dense delle roverelle. Saverio è felice di fare due parole con me e Daniele, che stiamo lì per cercare occhioni, in un sito che conoscevo da tanti anni, ma che aveva visto vicissitudini agronomiche mirabolanti. Prima mais, poi pomodori, poi il bosco stava per riconquistare le garighe e gli spazi aperti, infine al ritorno a ciò che era la sua vocazione divina: un pascolo con sassi grandi come una pagnotta di pane e un tappeto di asfodeli. Gli occhioni cantano, Saverio racconta che il pastore che lo aiutava prima, un macedone, aveva lasciato il lavoro, perché ogni volta che portava le bestie al pascolamento ai margini del bosco, scendevano i lupi e ne aveva terrore. Qualche volta i racconti dei pastori sono pieni si suggestioni, ma in questo caso non ho faticato a credergli. Tonnellate belanti di calorie in uno stazzo ai margini del bosco, in un’area dove ogni anno sparano una decina di lupi. Lui no, non gli sparerebbe mai, ci dice che noi che ci occupiamo di natura dovremmo tenere questo in considerazione, che il suo lavoro sia tenuto nelle nostre menti, che quelle sveglie alle tre del mattino per mungere e poi scendere al fiume non siano banalizzate in un ridicolo “al lupo, al lupo”, il problema esiste e Saverio lo racconta in modo pragmatico. Bisogna ascoltarlo in qualche modo ci diciamo. Cuore alla gola per un paesaggio così antico e struggente, discendiamo. Il GPS aveva segnato la posizione degli occhioni, il taccuino annotava: biancone, succiacapre, calandra, allodola, strillozzo e sterpazzolina, quando da un palo della corrente elettrica esce con sublime grazia disturbata una ghiandaia marina, il partner stava su una roverella seccata da un incendio. Raccontare è difficile, bisogna vederlo quell’inarcarsi del corpo che si invola con la testa tenuta in su, quella tavolozza in movimento tra i rigogoli che punteggiano l’aria di canti. Ora queste tipologie di nido non sono più una novità, anzi: I casi di nidificazione nei pali e nei trasformatori sono in continuo aumento; nel 2015 più del 50% della popolazione nidificante in Italia, utilizza appunto queste strutture. Al modificarsi del paesaggio rurale ed agrario, al disturbo antropico, al riutilizzo dei vecchi casali per uso abitativo rispondono con una strategia techno. Iridescenti e dal piumaggio bellissimo le osserviamo catapultarsi nei pali della corrente, qualche volta trattenendo il fiato, perché soprattutto quando il nido è posto nella scatola di scambio della corrente, possono avvenire fenomeni di folgorazione. Per fortuna sono casi rari e le ghiandaie marina continuano, anzi incrementano la loro popolazione a base di KW/h. Certo, la ghiandaia marina rimane una specie selettiva e per insediarsi nei pali, questi devono essere posizionati in aree ad alta biodiversità. E la valle dei sussulti lo è, immensamente, immensamente distaccata dal vuoto monocolturale e monoculturale. La valle dei sussulti è l’assoluto.

Capitolo 5. Della sofferta scelta
E’ il 26 giugno 2012.  I papaveri escono dal grano, disegnano una linea lunghissima di sangue nella monocromia del giallo cadendo in un fosso. Per ogni cane alla catena ce ne è uno libero, per ogni uomo ferito c’è un altro che combatte. C’è una fila di pioppi neri centenari, il rigogolo canta e ti senti piccolo, un’averla cenerina fa la spola tra le stoppie foraggere e il nido sui pioppi, posto molto in alto ma ben visibile da sotto mentre vado a bere a un fontanile diruto. Poco più avanti “Lei”, sta sulle barre di quella capriata meccanica che sostiene i fienili maremmani. Ci sono solo una decina di balle parallelepipede e, quella che era stata la sua casa lo scorso anno ora è troppo esposta alla vista dei predatori qualora decidesse di nidificare in quella struttura ora semivuota e spettrale. Ero stato nello stesso luogo venti giorni prima e la scena di oggi è la stessa. Lei disorientata e fedele ad un sito storico, fedele a quella collina dolcissima dove la notte gli occhioni si rivelano gli indolenti guerrieri che sono. Per le specie che hanno la disponibilità del sito riproduttivo come fattore limitante della popolazione, e la ghiandaia marina è fra queste, la scelta vitale diventa spostarsi o attendere. Attendere che la sua casa si orni di nuovo delle cataste traboccanti fieno, tra i cui interstizi deporrà le uova, alleverà la prole, trasmetterà il suo dna celeste. Lei ha scelto di resistere, di attendere che l’uomo la salvi, che i ritmi della natura le diano una sola possibilità. Come fai a non pensare che anche tu tante volte hai atteso, con una pipa accesa e il cuore in disordine? Mi vede e scappa, mi sono avvicinato troppo. Mi dispiace aver disturbato un’assenza. La scelta di aspettare che le condizioni del substrato del nido diventino favorevoli è una opzione rischiosa. Se la deposizione avviene dopo il 15 luglio le possibilità di involo dei giovani sono poche. Perché entro agosto, quando la marea di carne umana si concentra ancora sulla linea costiera per provocarsi piccole e fastidiose ustioni, le ghiandaie marine devono cominciare a spostarsi. Preparare la migrazione in aree di alimentazione comuni, disegnando arabeschi turchesi inseguendo prede verticali. E’ nella loro natura, è nel codice genetico ed in parte nel bilanciamento degli ormoni che è scritta la loro complicatissima tabella migratoria. Non è di certo una colpa che qualche pulcino venga abbandonato a se stesso.
I prati due giorni dopo sono sfalciati, il fieno è ranghinato e ci sono almeno una quarantina di balle pronte per essere caricate sul piano del trattore e depositate da una piccola gru al fienile. Le ghiandaie marine seguono le operazioni dai pali di cemento di una vigna. I canapini fanno chiasso che gli occhiocotti in canto sembrano triglie, i pulcini dei saltimpali hanno ancora la lanuggine sul dorso e sono imbeccati sopra dei laterizi osceni, perché noi umani dobbiamo farci sempre disgustosamente riconoscere. Ai pulcini saltimpali non importa nulla; proteine fresche per ingrassare e per compiere la prima muta.
il 22 agosto torno sperando nella “sofferta scelta”. Sentendola umana, sentendo mio quel dolce pigolare che arriva dal fienile, sentendo di appartenere a quel mondo delizioso. Si ce l’hanno fatta e un pulcino estrae il suo beccaccio da pappagallo. Ora vengono riforniti di prede, lui e i suoi fratelli, con un ritmo frenetico. Un’imbeccata ogni cinque minuti ed entrambi i partner fanno la spola tra i cardi del pascolo della collina e casa. Ortotteri e cicale soprattutto. Il cielo porta via le nuvole; sono le otto di mattina, c’è una briciola di mistral. Un pulcino scende dalla sicurezza scura di quel cordone ombelicale del cunicolo nido e vola fin sopra un erpice rugginoso. Ce l’hanno fatta!  Quando diventa caldo li lascio, ho sempre amato chi crede ai sogni e chi li vede come l’opportunità più reale possibile, che possa quindi semplicemente inverarsi perché ostinatamente ci si crede. Non riesco a pensare ad altro che alla felicità che mi entra dalla bocca e arriva al cuore e dal cuore alla periferia fino alle mani, in un solo battito. “Della sofferta scelta”.

Capitolo 6. La colonia e i conflitti
La ghiandaia marina è definita una specie semicoloniale. In passato i casi di nidificazione raggruppata erano certo più frequenti. Il grande ornitologo Edgardo Moltoni, che si può senza dubbio definire come il ponte fra l’ornitologia storica e quella moderna racconta che nella cinta muraria di Tuscania c’era una grande colonia di ghiandaie marine. Ora ci sono le taccole, una coppia per ogni fenditura del tufo. Il modificarsi delle condizioni ambientali, della conduzione delle campagne, la sottrazione degli incolti favorisce le specie generaliste, le ghiandaie marine ovviamente pagano un prezzo.
Quando sei alla cava dei miracoli celesti inizi a comprendere qualcosa. Generalmente, in termini concettuali distinguiamo gli uccelli tra specie coloniali e specie territoriali. Le gioviali e le solitarie insomma. Esistono tutta una serie di vantaggi e limiti per ciascuna delle attitudini eco-etologiche. Il colonialismo consente alle coppie nidificanti di spendere minor tempo nella difesa comune dell’area nido, oppure può costituire un centro d’informazione per scambiarsi dritte sulle aree trofiche, oppure si può verificare la difesa comune nei confronti di un predatore.  Il territorialismo presenta vantaggi, per così dire opposti: le coppie corrono in misura minore il rischio di essere scoperte da un predatore, non devono dividere aree di foraggiamento, c’è minor rischio per i maschi di veder trasmesso non il suo DNA, ma quello di un altro maschio villano e traditore. Le due opzioni anche nella stessa specie sono plasmate dalle condizioni ambientali ed ecologiche. Un’area che racchiude grandi spazi con risorse disperse e la disponibilità di molte cavità nido ravvicinate, favorisce appunto la nidificazione coloniale. Situazioni più puntiformi e con aree di foraggiamento di dimensioni più modeste o con risorse concentrate, facilita la nidificazione solitaria. Definire una specie territoriale in fondo è semplice: una specie territoriale decide di spendere preziose energie per difendere in modo attivo una risorsa, lo può fare attraverso segnali acustici, ma alle brutte anche con interazioni fisiche, vere e proprie aggressioni nei confronti dei competitor. La risorsa difesa può essere e più spesso si fa coincidere con l’area nido, ma possono essere difese anche aree alimentari o posatoi. Siamo sempre all’interno del concetto del territorialismo. Definire una colonia invece è estremamente complesso e saremmo tentati di identificarla come un luogo in cui le specie nidificano raggruppate. A quale distanza i nidi devono essere collocati per essere queste are definita una colonia? Iniziano i problemi. Se vogliamo prendere in considerazione questo parametro solo spaziale ovviamente la definizione di questo spazio tra i nidi è specie-specifico. Continuano i problemi. Per progetti speditivi si possono scegliere con buona approssimazione delle distanze fra i nidi per parlare di colonie, ma concettualmente stiamo un po’ sul vago, se non inseriamo parametri etologici. La difesa comune nei confronti di un predatore, come accennato sopra, ecco è già un buon indicatore del fenomeno. Colonia come cooperazione allora. Forse si.
Solo che poi entri in quel vortice di colori e mentre un biacco scivola tra le erbe viperine, ti accorgi che quei concetti che opponevano territorialità e colonialismo sfumano sul parapetto dei gladioli. Due coppie di ghiandaie marine stanno a non più di dieci metri e in mezzo c’è una coppia di storni. I maschi di queste due coppie si attaccano furiosamente, uno dei due poggiato sulla sabbia spalanca le ali in segno di sfida e rifila due beccate potenti in testa dello sventurato disattento, poi risale dalla sua femmina e si salutano, un'altra ghiandaia marina nel fondo della scarpata mobba un gheppio ferocemente, si innalza e picchia giù sparato, il gheppio prova a mostrargli gli artigli rovesciandosi in volo nel modo che hanno le albanelle minori nel momento dell’amore, ma la ghiandaia marina è intrepida contrattacca. Il sole dietro le spalle, il pastore Ciriaco scende con le pecore al suo stazzo notturno, ha preso una cannuccia con tutte le foglie per redarguire le pecore. Me ne sto per andare, prima bevo un mezzolitro d’acqua. Risalendo è chiaro che due fenomeni che spesso si ritengono contrapposti, in realtà cooperano. In una colonia ci sono cooperazione e conflitto. La colonialità non esclude fenomeni di territorialismo, è una questione di scala e se guardi da vicino la colonia delle ghiandaie marine, esiste sempre un’area difesa, una risorsa difesa, un territorio quindi in cui vale la pena ritualizzare la battaglia, oppure darsele di santa ragione.

Capitolo 7. Le Maremme
La Maremma viterbese è un sottoinsieme della Maremma, quello spazio che il divino Poeta circoscrive nel canto XII dell’Inferno “da Cecina a Corneto i luoghi colti”. Una parte di un tutto insomma, ma che giocando in forma geo-semantica, gioco a suddividere in: maremmina (la Maremma del cane), quella parte in cui agli incolti si mescolano ampie porzioni di agroecosistemi a bassa intensità energetica. Segue la Maremma del nord, che orientativamente va da Tuscania ai confini con la Toscana, questa è la (Maremma della pecora) cui segue sempre attraverso un labile confine, psicogeografico la Maremma del centro, orientativamente da Monte Romano a Tarquinia ed è ovvio che questa sia la (Maremma della vacca maremmana). La Maremma del sud extradantesca è la Maremma tolfetana, ossia (la Maremma del somaro). La Maremma della pecora è piatta con rilievi rotondi e dolci, terreno crettato dal sole, da cui emergono fossili marini, la Maremma della Vacca maremmana si perde tra pascoli e lunghi fossi bordati dal frassino ossifillo e dall’acero minore. Se la percorri di notte o nel preciso momento in cui il cane diventa lupo in quell’imbrunire scuro, puoi averne paura e fuggirla. La Maremma del somaro invece è più incisa da valloni di boschi termofili, intervallati dai cardi e dalla gariga. Qui il bosco avanza e si ritrae in funzione dei carichi di pascolamento di anno in anno, una Maremma forte e vezzosa, un po’ oleografica.
Civitella Cesi, le forre sul Mignone all’altezza di Luni. Venti giugno 1999. E’ area di transizione tra la Maremma della pecora e la Maremma della vacca. Ci sono due coppie di ghiandaia marina al ponte della ferrovia, le contattiamo e torniamo sopra il vallone a controllare tra i bastioni di tufo. Anche se l’ambiente di nidificazione primigenio dell’uccello dalle ali indaco, si suppone fosse in prevalenza costituito da questi strapiombi vulcanici, ora trovarne in ambiente davvero “wild” è divenuta un’impresa. Con Fulvio, a forza di guardare la spalla opposta del vallone non ci accorgiamo che dieci metri sotto di noi c’è un nido attivo. Ci spostiamo su una cengia a monte infrascati fra i cisti bianchi e rosa e il nido è ben visibile. Due Baush e Lomb sessanta ingrandimenti consentono una visuale perfetta in HD. Entra un partner con l’imbeccata e subito esce l’altro che copriva i pulcini, ora li vediamo  appiccicati su un leccio tarlato dell’altra sponda. Entra un terzo individuo al nido! Ci guardiamo come allocchi. Il fenomeno dell’helping non è noto per le ghiandaie marine, il terzo individuo non porta nessuna preda e resta due minuti al nido. Poi un acquazzone estivo ci inzuppa come baccalà, la macchina è ad almeno tre km, dobbiamo andare via. Una settimana dopo torniamo e non c’è più nulla. Un biancone volteggia alto, le tortore selvatiche “rucano” di presso e i colombacci a fare da bordone alla sinfonia columbiforme. Speriamo almeno che la truppa dei giovani si sia involata. Resterà sempre non chiarito se si trattasse di un helper. Sono convinto di sì, ma mancano troppe evidenze. L’helping è un fenomeno naturale per cui alla coppia nidificante si aggiunge un terzo individuo che mette in campo un comportamento altruistico: collabora al buon esito della riproduzione, senza apparentemente ricevere nessun beneficio. In realtà numerosi studi hanno analizzato i motivi dell’helping che in modo finalistico deve avere necessariamente anche per l’aiutante dei buoni punto per la sua fitness individuale. I principali individuati sono: la possibilità di essere accettati in una colonia e condividere i privilegi di una vita comune, l’altro è quello di essere parte anche di un ambiente sociale, che consente all’helper di stringere relazioni di “conoscenza” con individui dell’altro sesso ricavando così altri buoni punto nella scelta del partner negli anni successivi. Negli affini gruccioni è un fatto ben conosciuto e questi aiutanti sono appellati col termine di “zie” perché possono essere uno o più di uno.  Non sempre sul campo riusciamo in modo istantaneo a decrittare fenomeni complessi, ma prima non sarei potuto tornare e in fondo restare con delle domande, è quello che ci fa amare in modo viscerale il mondo naturale. La società delle ghiandaie marine utilizzerà gli “zii” anch’essa?


L'occhione tra i fiumi e le pietre

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