domenica 29 aprile 2018

Racconti di penne e di piume del Maediterraneo vol.3


Capitolo 2. La calandrella. Batuffoli di allodola

In natura esiste sempre una sorta di eterogenesi dei fini. Cerchi una cosa ne trovi un’altra. Cerchi un occhione, trovi le calandrelle. Il tesoro è lo stesso, cambia la materia dei preziosi. Invece di sterline inglesi di fine Ottocento, trovi un Kruger o un lingottino. Così andai in quella primavera assolatissima, al margine di in fiume, nella pianura alluvionale, già disgregata in cretti e in tagli traversi come le tele urlate di Fontana. C’era un campeggio e un qualcuno non mi ricordo chi, un vattelappesca, disse di aver sentito cantare gli occhioni. Partiamo con Fulvio e la meta è il principio di Toscana, dove il Lazio lascia spazio a un cartello stradale. Poi si gira verso mare. In effetti, l’appezzamento segnalato è aridissimo, lo troviamo subito. Solo che al di là dell’argine, ci sono graminacee, dietro l’Aurelia, davanti una pineta male in arnese. Il presunto territorio per occhioni andrebbe benissimo per tutti i parametri fisionomici e strutturali, un incolto molto arido, tranne che per le dimensioni. Saranno cinque ettari, una misura che gli potrebbe bastare in aree segretissime e in assenza di disturbo. Qui così non è. Infatti, non ci sono, perché esploriamo capillarmente senza “alzare” il chiurlo di pietra.
Però notiamo qualcosa tra le pieghe della terra e il lilla della borraggine. Se l’allodola canta in una serie di frasi lunghe, varie ma ripetute senza interruzione, se la cappellaccia emette degli acuti che sembrano sibili di vento, se la calandra ha un repertorio più tenorile e pieno di imitazioni e se la tottavilla fa totto-lì al margine di un boschetto iterando la cantilena, la calandrella ha un canto completamento diverso, una sola strofa composta di note prima ascendenti, poi discendenti e basse. Un po’ come la sterpazzola della Sardegna con un timbro da passero. La calandrella è stravagante: niente affatto ecologicamente plastica, vive all’interno di uno stretto range di parametri ambientali. E’ una specialista a bassa valenza ecologica quindi. Come il motacillide calandro, un altro “uccello fantasma” che si disvela solo a chi ama la steppa e le sassaie. Una prelibatezza la nostra calandrella, un distillato dei terreni brulli, per un animo da peccatore. Un uccello di sabbia, che nella sabbia vive, oppure in pascoli iper-sfruttati o nell’alveo ciottoloso dei fiumi, spingendosi al nord della penisola, pur restando essendo un uccello dei climi caldi mediterranei. Nella struttura somiglia a una piccola e compatta allodola, ma ha colori più ambrati e la testa ha riflessi ruggine che mostra quando solleva allarmata la piccola cresta rossiccia. Il becco è rosato e conico. Al di sopra delle scapolari ha una tacca a semiluna nera più piccola che nella calandra. Vista in volo da sotto sembra del tutto bianco-panna. Fa quasi impressione per la sua unicità quel chiarore che s’interrompe nel sottocoda scuro, con le timoniere esterne di nuovo bianche. La calandrella migra sia nelle aree a nord del Sahara, che in quelle sub-sahariane, utilizzando gli stessi ambienti predesertici del periodo di nidificazione.
La dieta della calandrella è separata temporalmente. In primavera è prevalentemente insettivora, nelle altre parti dell’anno è un’avida divoratrice di grani. E’ che a noi piace semplificare per inquadrare i fenomeni: ci sono moltissimi cosiddetti “insettivori”, come ad esempio i Silvidi, che d’inverno la sfangano quasi esclusivamente a bacche e drupe e molti altri cosiddetti “granivori” che in primavera integrano la dieta con le proteine della carne, soprattutto ma non solo, per lo svezzamento dei pulcini. Siamo dei maledetti semplificatori, perbacche.
Nei Coussouls (pascoli) della Crau, i colori sono pastello, i ciottoli hanno incamerato ferro e sono ipotesi d’ambra rossa. Una calandrella canta e fa preening dalla sommità di un muretto divisorio. Anche il suo carattere è pastello. Il giallo delle stoppie è opacizzato dal riflesso della geologia, ci sono mazzetti di lavanda conficcati nella pietra. Lei non smette di pulirsi, si vedono le terziarie lunghe, fino al punto di coprire quasi l’apice delle primarie. Il collo si torce e il becco ora netta la coda. Starnazzano le grandule in volo sopra di me. Se mai hai avuto memoria, la stai perdendo in questa immersione di minerali. Apnea di sassi nel regno dei cieli.

Capitolo 3. Il codirosso spazzacamino. Il ballerino dei tetti

Inverno 2015. Periferia di Viterbo. Tra codirosso spazzacamino e pettirosso non corre buon sangue. A dire il vero tra i pettirossi e gli altri passeriformi non s’instaura una particolare simpatia. Sì, perché usciamo subito dall’umanizzazione dei comportamenti animali, il pettirosso difende anche territori invernali con una certa veemenza ed ogni intruso è un potenziale usurpatore di risorse trofiche. La femmina dello spazzacamino è diritta sulla diagonale di una staccionata maremmana di legno dolce, muove ritmicamente la testa per osservare insetti da predare e si bilancia con le timoniere. Movimenti ondulatori un po’ meno accentuati rispetto alle ballerine ma dondola anche lui. Una scheggia dal petto rosso parte da una sporgenza di travertino e lo attacca. Spaventa anche le cornacchie grigie che banchettavano di residui di panini e lo travolge. Il codirosso spazzacamino si ritira impaurito, lui il resistente alpino è confuso, cerca altri posatoi, mentre una civetta miagola in pieno giorno e un gruppo di verzellino banchetta tra le romici. Poi, a calma ristabilita, lo spazzacamino è in terra a cercare artropodi tra gli pneumatici di quel parcheggio sterrato, dove la Melia azedarach riluce con i suoi doni gialli, dove le cappellacce seguono le increspature del terreno con il loro compasso lungo e la cresta alzata per metà.
Il codirosso spazzacamino è un muscicapide e non un turdide, com’era fino a pochi anni fa. La stessa sorte da pigliamosche è toccata al pettirosso e altri ex turdidi come il passero solitario e il codirossone. Personalmente detesto questa nuova classificazione che emerge da studi genetici e che quindi ha un buon approccio metodologico, forse il migliore, se combinato ad altri aspetti però: comportamentali, ossei, oologici, ecologici e molto altro. Il perché di questa mia ostilità? E’ solo l’osservazione: alla mia percezione restano turdidi, c’è poco da fare e sarebbe troppo lungo spiegarlo; sono un po’ la vista e il cuore che me lo suggeriscono. V’è da dire che il progredire delle ricerche, che in questa branca della sistematica sono per fortuna fiorenti, avrà nuovi strumenti e nuove tecniche in futuro e sorprendentemente si è già riscontrato che analisi fini, hanno portato alla classificazione di nuovi “taxa”, descritti dagli ornitologi ottocenteschi, dai pionieri cui dobbiamo le fondamenta delle conoscenze sugli uccelli. Così, io non guardo indietro, anzi mi proietto in avanti e sfido tutti allegramente: i piccoli turdidi e anche quelli non piccoli menzionati, lasceranno i muscicapidi e rientreranno trionfalmente fra i turdidi. Diamine, a ognuno la sua casella.
Il codirosso spazzacamino a differenza del suo congenere codirosso comune non ha subito evidenti rarefazioni numeriche nell’ultimo ventennio. Maschi e femmine hanno piumaggio nettamente separato, almeno in periodo riproduttivo. Il maschio ha la testa grigio chiara e le parti ventrali di un nero lavagna lucente. La femmina invece ha colorazione di fondo marrone chiaro, con le ali più scure, mantenendo in comune con il maschio solo il sottocoda rossiccio. In realtà la colorazione degli “spazzacamini” è un fenomeno complesso. Maschi del primo anno: estremamente simili alle femmine, femmine adulte molto simili o uguali ai maschi riproduttori, per il fenomeno tipico di numerose specie di passeriformi, che prende il nome di “mascolinizzazione”  che è il processo di acquisizione dei caratteri sessuali secondari maschili in un individuo geneticamente femminile. E’ prevalentemente insettivoro, ma nell’autunno la dieta è integrata con bacche di sambuco e altre essenze vegetali.
La Majella a metà agosto al tramonto è un burrone di luci opacizzate dalla nebbiolina del mare. Una montagna appenninica e allo stesso tempo mediterranea. Ne senti l’odore, mentre un gruppo di gracchi corallini risale sfiorando i verbaschi e si dirige verso roost sconosciuti, nel grembo più roccioso e oscuro della Montagna Madre. Mi ha preso il cuore la Majella per la sua indole anfibia, per i suoi ossimori ecologici, per i mugheti e per quei cani massicci con la testa da orso. Una femmina di codirosso spazzacamino sta imbeccando il suo giovane che ha da poco lasciato il nido. I ritmi sono frenetici, quasi un’imbeccata al minuto, gli porta solo larve e la palletta marrone ancora lanuginosa e famelica gradisce. Spalanca la commessura buccale e ingurgita una cavalletta. Sopra una staccionata appenninica anche i giovani culbianchi ricevono le cure dei partner. E’ ora di tornare. La discesa a valle ci porta una poiana in caccia, un grappolo di colombacci che volano alti sopra i faggi, un incorporeo capriolo in fondo alla chiaria del bosco in rinnovazione dopo uno dei tanti criminosi incendi volontari.


Il libro è disponibile. Costo 17 euro spese di spedizione incluse.
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